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Le Mans, una sfida fantastica alla ricerca del limite

La Porsche batte l'Audi dopo un epico duello: ha vinto l'equipaggio che ha commesso meno errori

Alla 24 Ore di Le Mans c’è stata una mutazione nel Gruppo Volkswagen. L’anno scorso avevamo lasciato l’Audi vittoriosa e la Porsche scornata per aver fallito il ritorno al successo nell’anno del rientro ufficiale alla maratona della Sarthe. Le R18 e-tron Quattro che viaggiavano come orologi svizzeri, mentre le 919 Hybrid soffrivano, seppure avessero mostrato di essere molto veloci. Quelle ormai sembrano immagini ingiallite dal tempo, perché la realtà oggi si è invertita. A vincere sono stati i “cugini” dell’altro ceppo di famiglia che hanno riportato alla ribalta un motore a benzina 10 anni dopo la R8, dopo una lunga era del turbo diesel. La Porsche ha sgretolato un po’ alla volta la determinazione di Wolfgang Ullrich, abituato agli ultimi cinque successi di fila. Il boss austriaco si è quasi commosso quando sabato pomeriggio le LMP1 dei quattro anelli avevano preso il comando delle operazioni nelle prime fasi della gara, dopo la sgroppata al via dei prototipi di Zuffenhausen. In qualifica le Audi si erano nascoste, ma poi hanno mostrato un passo insospettabile per chi non conosce a fondo le infinite risorse di chi non è mai stato disposto ad arrendersi.

DALLE GARE DI DURATA ALLA CORSA SPRINT CHE DURA UN GIORNO
L’Audi è il marchio che ha trasformato una gara di durata, come è sempre stata la 24 Ore di Le Mans, in una corsa sprint che dura un giorno. L’impronta di Ingolstadt sull’appuntamento della Sarthe è stato… devastante, perché ha proprio rivoluzionato il modo di correre infilando ben quattordici successi. Adattando la progettazione della macchina, tutte le procedure e le simulazioni di gara all’estremizzazione di ogni concetto. Un tempo la gara della Sarthe si preparava con test di durata pari alla lunghezza della gara, mentre Wolfgang Ullrich ha allungato la vita di ogni bullone a 30 ore (e oltre). Perché non si doveva rompere niente. Mai. Le soste ai box dovevano essere le più brevi possibili e le eventuali sostituzioni di parti molto veloci. Ogni dettaglio è stato curato in modo quasi maniacale (anche la tabella dei tempi al muretto viene esposta automaticamente al passaggio della vettura davanti al rettilineo principale). Ma la filosofia Audi ha fatto scuola su tutti i raggruppamenti della 24 Ore (LMP2, GTE pro e am), per cui tutto questo non è bastato per battere la Porsche.

LA 919 HYBRID SFRUTTA AL MASSIMO LA RICARICA DI ENERGIA
La Porsche è stata pensata per sfruttare il regolamento che consente una ricarica di 8 MJ di energia al giro e un serbatoio del carburante con una capacità maggiore (oltre 14 litri), tale da permettere stint di 14 giri, una tornata in più delle Audi che, invece, hanno puntato tutto sulla veste aerodinamica pensata per il veloce e sulla minore usura delle gomme che dovevano durare cinque stint. Situazione che in pista si è verificata solo una volta con Bernard Treluyet, costringendo i piloti delle tre R18 e-tron Quattro a cercare il limite della vettura.

LA R18 E-TRON QUATTRO AL LIMITE DELLO SVILUPPO
A Ingolstadt hanno raschiato il… barile per trovare la competitività di una macchina che è arrivata, forse, al limite del suo sviluppo, suppur dimostrando di essere ancora competitiva. E i piloti hanno affrontato la gara con il ritmo di chi, di solito, si prende certi rischi solo in qualifica. L’unico modo per contrastare le 919 Hybrid, pensate appositamente per centrare la 17esima vittoria a Le Mans dopo… 17 anni da quella del 1998 con Aiello-McNish-Ortelli, era andare all’attacco sempre e comunque. Specie nei momenti critici della gara. I doppiaggi delle vetture più lente (e se ne fanno più d’uno ad ogni giro), la gestione delle bandiere gialle e, soprattutto, delle yellow zone sono state occasioni di… battaglia (e di penalizzazioni).

ALL’ATTACCO IN TUTTE LE SITUAZIONI A RISCHIO
L’incidente di Loic Duval alla terza ora ne è stato l’espressione più evidente: ogni situazione anomala era adatta a guadagnare qualche decimo, qualche secondo. Siccome i doppiati non si fanno da parte ma (giustamente) proseguono per la loro traiettoria (sarebbe pericolosissimo se si spostassero considerata l’enorme differenza di velocità fra le LMP1 e le GT) tocca ai Prototipi cercare varchi o passaggi. In passato abbiamo assistito a biposto che si accodavano al più lento per una curva per scappare via subito dopo. Quest’anno, invece, la lotta era così serrata, con il coltello fra i denti, che le LMP1 non “dovevano” rallentare, ma sfruttare ogni spazio a disposizione (che fossero i cordoli, le vie di fuga in sabbia o anche l’erba) a costo di prendere delle penalità.

PIU’ RISCHI, MA ANCHE PIU’ ERRORI
Non deve sorprendere, quindi, se alla fine le Audi abbiano risentito di questa tattica “obbligata”: un cofano che si è staccato, guai ripetuti al KERS, un semiasse anteriore ko sulla vettura di Bonanomi, che puntava al terzo posto, hanno rivelato l’”usura” alla quale le R18 e-tron Quattro sono state sottoposte. E la guida al limite ha anche moltiplicato gli errori dei piloti, che hanno affrontato stint che richiedevano sempre la massima concentrazione. In questa contesa condotta sul filo dei secondi sono stati trascinati anche gli equipaggi della Porsche e, forse, non è un caso che alla fine la vittoria sia stata colta dal trio della terza vettura, composto da Nico Hukenberg, Earl Bamber e Nick Tandy.

HA VINTO L’EQUIPAGGIO CHE HA FATTO MENO SBAGLI
Il pilota della Force India prestato alle gare Endurance, ha scoperto a Le Mans cosa vuol dire lottare porta a porta, visto che nei Gp di Formua 1 le bagarre sono sporadiche e spesso “drogate” dall’uso dell’ala mobile. Il tedesco, invece, ha potuto mostrare il suo indubbio talento in una gara che non perdona: insieme all’altro debuttante promosso dalla Mobil 1 Supercup, il neozelandese Bamber e l’inglese Tandy che la 24 Ore l’aveva già corsa nelle GT, ha centrato uno storico successo per la Porsche: i tre hanno composto l’equipaggio che ha commesso meno errori.

LE MANS, UNA LEZIONE PER LA FORMULA 1!
La Porsche potrebbe aver aperto una nuova fase, facendo tramontare il sole sull’irripetibile ciclo dell’Audi. In pista se le sono date di santa ragione, ma una volta deposte le armi è stato apprezzabile il fatto che Wolfgang Ullrich sia andato a congratularsi nel box dei “cugini”. Una resa onorevole, dopo una battaglia tanto bella quanto durissima. Il WEC testimonia che si possono scrivere delle regole (anche molto complesse) che esaltano le nuove tecnologie (l’uso dell’ibrido è più spinto che nei Gp) senza mortificare lo spettacolo. E il record di spettatori sulle tribune della Sarthe deve far riflettere il Circus della Formula 1. Perché volere è potere…

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