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Kvyat: "Il coraggio fa parte del bagaglio di un pilota"

Il pilota della Toro Rosso si racconta con OmniCorse.it toccando temi sensibili per un ragazzo di 20 anni

Kvyat:

È il pilota più giovane ad aver conquistato un punto iridato in Formula 1. Daniil Kvyat ha già strappato un record a Sebastian Vettel. Nella galassia della Red Bull è considerato il giovane emergente, portato nel Circus direttamente dalla GP3, dopo aver vinto il titolo 2013. Franz Tost, team principal della Toro Rosso, ha scommesso su questo russo di 20 anni, il secondo nella storia dei Gp dopo Vitaly Petrov. Ha ancora i tratti del ragazzino, ma già ragiona come un veterano, come se fosse protagonista nel Circus da anni e non da appena mezza stagione. È un pilota istintivo, dotato di un grande talento naturale. La velocità ce l’ha nel sangue, ma non è un guascone, uno spavaldo. Anzi, è un ragazzo con la testa sulle spalle. E le idee molto chiare. Parla con naturalezza almeno quattro lingue e vive da sette anni e mezzo in Italia.

Daniil non sembra sentire il peso della responsabilità, è una spugna che assorbe tutto quello che c’è da imparare, per cui non ripete mai due volte lo stesso errore. Doveva fare tesoro dell’esperienza del più esperto compagno di squadra, Jean-Eric Vergne, e, invece, è lui che detta il passo della squadra faentina, essendone già diventato il punto di riferimento. Ha portato in Q3 la STR9 sei volte su undici e, per il momento, si è accontentato di due noni posti e due decimi che gli sono valsi 6 punti iridati e il 15esimo posto nel mondiale piloti. Il suo bottino poteva essere più ricco, ma il russo ha pagato una carenza di affidabilità della monoposto curata da James Key. Non se ne preoccupa, convinto che la squadra debba ancora esprimere il meglio in questa stagione. Abbiamo parlato con lui in Ungheria: abbiamo cercato di scavare nel personaggio con un'intervista diversa sal solito...

Come ti descrivi?
“Non mi piace parlare di me, lo lascio fare agli altri, ma posso dire che sono sempre onesto con me stesso e molto esigente…”.

A 20 anni non è facile stare in un mondo difficile come la Formula 1?
“Non mi faccio condizionare: cerco di fare il mio lavoro meglio possibile con l’obiettivo di crescere sempre, per sfruttare al massimo il pacchetto che ho a disposizione per essere ogni volta più veloce…”.

A quanti anni sei diventato… grande: è difficile trovare giovani della tua età con la stessa maturità. Ci sono piloti ben più esperti che ancora non lo sono…
“Non credo di essere già maturo. Ho solo 20 anni e tante cose ancora da imparare. E visto dal mio punto di vista, posso dire che qui ci sono molti piloti molto maturi: non avrebbe senso affrontare la F.1 in modo troppo facile, senza sapere dove ci si trova. E poi non conta essere seri o poco seri, conta essere se stessi. Ci sono tanti fattori a condizionare il proprio modo di essere…”.

Ma riesci a fare la vita di un coetaneo o devi rinunciare a qualcosa per la F.1?
“Per la maggior parte del tempo non posso vivere da ventenne. Ogni tanto, quando ho tempo, mi piacerebbe tornare a fare il teen-ager, ma in questo ambito non ci si può concedere delle distrazioni: bisogna restare concentrati al massimo”.

Qual è la tua casa? La Russia dove sei nato, Roma dove vivi o sei un cittadino del mondo?
“Sono nato a Ufa nel Bashkortostan: la Russia è la mia patria e sarà casa mia per sempre. Ho trascorso molto tempo a Mosca e ora vivo a Roma e non nascondo che quando torno in queste due città che conosco molto bene, mi sento un po’ come a casa, perfettamente a mio agio”.

Hai avuto una carriera molto rapida: titolo di F.Alps nel 2012, secondo posto in F.Renault Europa e poi la corona di Gp3 nel 2013?
“Il 2012 è stato positivo per me: nei vari campionati ho vinto 20 gare e l’anno scorso ho centrato il titolo in GP3 con la MW Arden. Un pilota deve crescere continuamente fino a quando non incontrerà qualcuno più forte di lui. L’importante è essere sempre disposti a imparare. In un mondo competitivo come quello delle corse non bisogna mai pensare di essere arrivati. C’è sempre una nuova sfida da affrontare che dà nuovi stimoli. E non esiste il super-pilota che non commette errori e che non viene battuto. Si migliora anche analizzando i propri sbagli. Nel Gp di Germania ho fatto delle cose che per alcuni non avrei dovuto fare…”.

Jacques Villeneuve, ex campione del mondo di F.1 e commentatore di SKY, non ha avuto parole tenere per il tuo sorpasso all’esterno di Sergio Perez …
“Lui analizza dei singoli episodi, non ha gli elementi per giudicare cosa effettivamente stava succedendo. Non vorrei pizzicarlo in nessun modo perché Jacques in macchina ha ottenuto molto più di quanto abbia fatto io…”.

Beh, in questo caso ce l’avresti con il critico televisivo, non con il collega pilota…
“Io non voglio criticarlo, non ci penso proprio, ma ho sentito diversi commenti su quel sorpasso a Hockenheim. Vorrei dire la mia su quell’episodio:, se quel tentativo dovessi farlo cento volte lo rifarei sempre. Magari in un modo un po’ diverso, ma non rinuncerei all’idea di superare Sergio. Credo di aver capito dove ho sbagliato…”.

Spiegacelo anche a noi, così capiamo…
“E’ molto semplice, non gli ho lasciato abbastanza spazio per evitare un contatto. Detto questo non c’è niente altro da aggiungere”.

Ma tu eri all’esterno e come potevi lasciargli dello spazio?
“Se dovessi ripetere la manovra oggi, farei in modo di lasciare lo spazio per la sua Force India. Quello è stato il mio errore, non la voglia di superarlo. In quella curva, comunque, due macchine ci potevano stare. E, comunque, piloti come Senna o Vettel di situazioni come quella ne hanno vissute diverse in carriera…”.

Certo, perché i piloti forti sono soliti dare un “segno” all’avversario che non aspettano molto a fare un sorpasso anche a costo di rischiare un contatto…
“Ah sì, perché altrimenti si rischia di diventare il pilota che perde troppo tempo a superare ed è molto peggio…”.

Sempre ad Hockenheim ti sei fermato con la Toro Rosso in fiamme: hai mostrato una gran freddezza nel gestire il fuoco, ma poi hai tirato un calcio al guard rail per lo stop anticipato…
“Credo che sia normale un piccolo sfogo: la gara ormai era compromessa. Non ero arrabbiato solo per le fiamme…”.

Hai avuto paura nel vedere il rogo nel retrotreno della STR9?
“Ho cominciato a preoccuparmi quando ho visto il fumo. Non ho avuto il tempo per avere paura, ho cercato di gestire la situazione per uscire dalla monoposto in sicurezza. E, soprattutto, in fretta. In quei momenti bisogna essere lucidi…”.

Non c’era solo il rischio benzina, visto che ci sono anche la batteria dell’ibrido e l’alta tensione dei motori elettrici…
“La situazione era indubbiamente rischiosa…”.

Oggi le piste hanno molte vie di fuga in asfalto, mentre un tempo c’erano i muretti: chi sbatteva, correva seriamente il rischio di farsi male: l’aspetto del coraggio un tempo era un elemento che faceva parte del bagaglio di un pilota. È ancora un elemento importante nella prestazione?
“Sì, assolutamente. Spesso si dimentica che le velocità massime e quelle di percorrenza delle curve ora sono molto aumentate anche a confronto con gli anni ’80, per cui se si fa un errore rimane il rischio di finire violentemente contro le barriere: il rischio, quindi, non è stato annullato. E penso che nessuno voglia vedere un pilota farsi del male. Il coraggio, a mio parere, resta un elemento che fa parte del bagaglio di un pilota”.

La paura è il contrario del coraggio, oppure no?
“A parere mio l’automobilismo resta uno degli sport nei quali il coraggio ha più rilevanza. Non mi piace che si dica che i piloti moderni non sono più dei cavalieri del rischio. Se si fa il confronto con gli Anni ’80 si pensa che adesso non siamo più uomini veri. Queste sono tutte cazzate”.

Spiegaci perché non è vero?
“Quando vai a 340 km/h e ti mancano all’improvviso i freni finisci contro il muro anche se ci sono cento metri di via di fuga in asfalto! Il rischio in Formula 1 non si cancella, anzi aggiungo che se si fossero mantenute le vie di fuga con la ghiaia vedremmo un pilota che si potrebbe far male in tutti i weekend di gara. È giusto, quindi, che si faccia tutto il possibile per migliorare gli standard di sicurezza delle piste e delle monoposto”.

La FIA sta facendo un buon lavoro per tutelare la vostra incolumità?
“Sì, si percepisce che c’è un grande impegno a favore della nostra salvaguardia. A volte si possono prendere delle direzioni che non si possono condividere, ma alla fine mi sembra che la strada che viene tracciata per la Formula 1 sia quella giusta”.

Per andare forte, un pilota deve superare la soglia della paura o è uno stato d’animo che non si prova dell’abitacolo?
“Oh sì, non saprei dire se è giusto chiamarla paura o più semplicemente alta tensione. Scatena l’adrenalina che ti cresce dentro. E nell’attesa del pre-griglia si alza la frequenza cardiaca e il cuore batte all’impazzata. Come bisogna chiamarla questa sensazione?”.

E poi quando si accendono i motori la… tempesta si placa?
“Sì, è proprio così. La tensione si allenta e lascia il posto alla freddezza: tutto deve essere perfettamente sotto controllo. L’emotività scompare. È il momento che c’è la massima concentrazione. Ci si sente parte della monoposto, in una calma apparente…”.

Quanto è invasivo l’ingegnere di pista durante un Gp?
“Con i nuovi regolamenti il ruolo dell’ingegnere di pista è fondamentale così come avere un buon rapporto con lui: la gestione dell’energia elettrica nell’arco del giro non può essere controllata solo dal pilota per cui l’apporto dell’ingegnere è fondamentale”.

Un Gp viene costruito a tavolino? La strategia di gara condiziona il modo di affrontare la corsa?
“Certo, vengono fatti dei piani in funzione delle simulazioni svolte e dei dati raccolti, ma non siamo condizionati dai numeri, c’è sempre la possibilità di sfruttare le occasioni che si presentano durante la gara”.

Non si è arrivati al punto che l’ingegnere consiglia di non rischiare un sorpasso perché tanto due giri dopo c’è il pit stop?
“Chiariamo una cosa: se c’è una condizione di sorpasso, il pilota deve sempre provare la manovra. Non c’è quasi mai la condizione per cui l’ingegnere ti dice lascia perdere, aspetta. Chiarito questo è chiaro che ci si deve adeguare al consumo del carburante e all’usura delle gomme”.

Pensi all’approdo alla Red Bull Racing e all’idea di lottare per il mondiale, pur avendo davanti due piloti che sono giovani come Sebastian Vettel e Daniel Ricciardo?
“Non ci penso. Non è il momento: considera che sono solo alla metà della prima stagione di Formula 1, quindi sono concentrato per fare il meglio in Toro Rosso che considero una buona base dove imparare. L’obiettivo è di migliorare le prestazioni nella seconda parte del campionato e credo che ce la possiamo fare. Poi prendo quello che arriva. Io vivo il presente e non voglio fare troppi sogni sul futuro…”.

Franz Tost, il team principal della Toro Rosso, ha scommesso molto su di te, preferendoti a Da Costa. Hai un debito di riconoscenza con il manager austriaco o in F.1 è un aspetto che non esiste?
“Non sarei qui se Franz Tost e il dottor Marko non avessero avuto fiducia in me. Ho apprezzato molto la loro decisione e mi impegno al massimo per ripagare la loro scelta, per fare in modo che le loro aspettative si concretizzino nella realtà”.

Helmut Marko è un personaggio importante della Red Bull: segue i giovani piloti, li sceglie, ma come è pronto a lanciarli è altrettanto rapido a scaricarli. Come lo vedi?
“È una persona che apprezzo molto. È molto onesto, diretto. Dice sempre quello che pensa. Le situazioni, quindi, sono sempre chiare. Ho un buon rapporto lavorativo con il dottor Marko”.

Quando si dice la F.1 è poco spettacolare che reazione hai?
“Non capisco cosa si aspetti la gente: mi sono rivisto i Gp e devo dire che lo show non è affatto male. Certo, ci sono gare più emozionanti di altre. Se torniamo indietro alle gare del 2000 c’era il dominio di un solo pilota e cosa c’era di così spettacolare? In realtà in pista succedono molte cose e il pilota ha ancora il suo peso. Conta, eccome!”.

Però gli ascolti televisivi dei Gp sono in evidente calo?
“Forse il pubblico non ha capito il cambiamento delle regole che è stato netto, ma sono sicuro che si sia presa la strada giusta. Ci voleva il coraggio di cambiare con delle soluzioni sperimentali utili al progresso delle auto di serie”.

Cosa cambieresti nel Circus?
“Aspetterei ancora un po’. Mi sembra che il pacchetto a disposizione non sia male…”.

Non vorresti gomme che vadano prima in temperatura, visto che le Pirelli Medie non si scaldavano nemmeno con il caldo ungherese?
“Stiamo vivendo il primo anno delle nuove regole, quindi è normale che ci siano delle cose da mettere a posto. La Pirelli non poteva sapere quale sarebbe stata la soglia effettiva di potenza di queste monoposto e ha preferito non prendere dei richi. Riguardo alle gomme medie bisogna adattarsi, ma siamo tutti nelle stesse condizioni per cui per me non è un problema”.

Cosa vuoi dire ai tuoi tifosi?
“Mi piace l’Italia, vivo da sette anni e mezzo da voi. Ci tengo al rapporto con i tifosi che hanno un’influenza su di me, ma ce l’hanno in generale nel mondo dello sport”.

Fai parte di una squadra formata da quasi 400 persone: senti la responsabilità che tante famiglie dipendono dal tuo risultato?
“Siamo una squadra compatta, cerchiamo il massimo tutti insieme, ma a quella responsabilità preferisco non pensarci, perché non mi fa andare più veloce. Anzi…”.

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