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Intervista a Kubica: "Ho ancora voglia di correre!"

Il polacco si racconta dopo 19 mesi di sofferenze: l'anno prossimo gareggerà in un programma competitivo

Ha vinto la Ronde del Gomitolo con la Saburu Impreza WRC. Ci ha riprovato al Rally San Martino di Castrozza ma ha rimediato un’uscita di strada nella terza speciale del TRA che non ha incrinato la sua voglia di tornare protagonista nel mondo delle corse. Robert Kubica, probabilmente si ripresenterà al Rally di Bassano (se la vettura della First Motorsport verrà riparata in tempo). L’apparizione in Trentino non è stata estemporanea: fa parte di un piano che il campione polacco ha chiaro in testa, ma che non vuole ancora decrittare. Ci saluta stringendoci la mano. Con quella mano, con un gesto molto naturale. La presa non è ancora vigorosa ma è vitale. Robert ha accettato di fare cinque minuti di chiacchiere. Abbiamo parlato per oltre mezz’ora. Senza filtri. Di tutto: partendo dalla F.1 per arrivare ai rally. È perfettamente consapevole della sua condizione, ma è determinato a recuperare l’uso del braccio correndo. È la migliore terapia. Basta guardarlo negli occhi per vedere la determinazione di chi ha le idee chiare. La stessa motivazione che l’aveva portato a vincere il Gp del Canada nel 2008 sulla stessa pista dove l’anno prima aveva avuto un incidente terribile con la Sauber-BMW. Non è cambiato. A 28 anni ha aggiunto la maturità frutto delle cicatrici della vita. Diciannove mesi di sofferenza, di interventi chirurgici dopo la maledetta Ronde di Andora 2011 con quel rail che ha profanato l’abitacolo della Skoda Fabia e che gli ha mutilato il braccio destro. Kubica sta voltando pagina. E sta rimettendo in… moto: ci stupirà ancora. Cominciamo dalla F.1: il mondiale 2012 è apertissimo con quattro campioni iridati in lizza per il titolo piloti… “E’ un mondiale molto interessante: la sua lettura è difficile perché cambiano spesso le forze in campo, ma c’è un pilota che ha fatto la differenza all’inizio della stagione con una macchina mediocre. Fernando nei primi Gp ha dimostrato di avere una marcia in più rispetto a tutti gli altri, perché è uno dei pochi, se non l’unico, che riesce a fare la differenza anche con una monoposto non competitiva. Alonso è il grande favorito. In F.1 le cose possono cambiare in fretta, ma lo spagnolo è sempre riuscito a raccogliere punti pesanti tranne che a Spa, dove è stato vittima di un incidente di gara”. Chi sarà il suo sfidante? “Fernando è fuori dal mondo. Non c’è uno sfidante. Non vedo grossi rivali. Così detto, sembra una stagione già decisa, mentre sappiamo che in F.1 non è così. Se non apparirà una vettura nettamente superiore, capace di sconvolgere i valori, credo che Alonso sia il favorito all’80 per cento”. La Lotus di oggi era la tua Renault. La squadra di Boullier ottiene con regolarità quei risultati che tu potevi sperare. Come ti spieghi questa crescita del team di Enstone? ”Già al mio primo anno non c’era più la Renault, ma c’era la gestione di Genii Capital. La differenza è chiara: io sono partito con un team che non esisteva più. C’era rimasto il nome Renault, ma il team non era più lo stesso. Abbiamo iniziato il campionato con la macchina dell’anno precedente: siamo riusciti a ottenere dei risultati incoraggianti lo stesso, nonostante un budget nettamente inferiore a quello attuale e con un ritardo sullo sviluppo della macchina, perché nell’inverno non sapevamo nemmeno se il team ci sarebbe stato. Ora penso che la gestione della Lotus stia dando i suoi frutti, perché già nel 2010 si vedevano chiari quelli che sono i punti di forza del team. Bastava svilupparli”. Quali sono quei punti di forza? ”La Lotus è un puro team da corsa. Oggi in F.1 ce ne sono veramente pochi. Se guardiamo ai top team, quelli dei grandi costruttori, sono di difficile gestione, con troppe persone. Renault, anzi Lotus, ha un gruppo di persone unito che fa solo corse per passione. Questo è un grosso vantaggio. E a questo si aggiunge che hanno tre o quattro persone molto brave che sono in grado di realizzare monoposto belle. E quest’anno si vede”. Quest’anno hanno vinto sette piloti e cinque team diversi: nella lista non c’è la Lotus. C’è una ragione? “In effetti è curioso. Hanno un mix di piloti strano: se Raikkonen riuscisse a qualificarsi più avanti nella griglia o Grosjean riuscisse a tenere il passo di Kimi in gara, dovrebbero vincere”. Manca qualcosa nella coppia dei piloti? ”No, non dico questo. Quando vince un Maldonado con la Williams cade ogni discorso, senza voler togliere niente alla Williams o a Pastor”. Quel successo ha celebrato i 70 anni di Frank Williams… ”Ci sono giornate scritte, molto speciali in F.1. E’ bello così. Anche se io sono stato nel Circus, ci sono cose che non sono facili da leggere quando si è fuori dal mondo dei Gp, però per vincere bisogna far quadrare tutto, avendo anche un pizzico di fortuna. Adesso c’è anche una Sauber che sta andando molto forte. Può ancora capitare di tutto, ma non è una corsa a fare un campionato. Io ho sempre preferito portare a casa dei punti importanti gara per gara. Quando non si dispone di una macchina vincente è l’unica tattica possibile. Guardando l’andamento di questo campionato analizzo che ci sono tanti piloti forti che si qualificano davanti e troppo spesso non portano a casa dei punti. È strano…”. Dipende dalle gomme Pirelli così imprevedibili nel loro degrado? ”No, le Pirelli sono certamente coperture sensibili da quello che ho capito. Se le fai lavorare nella finestra giusta di utilizzo puoi trarre grandi prestazioni e fare la differenza. È uno dei motivi per cui le Lotus vanno su e giù nel rendimento dello stesso week end. Vanno forte quando c’è caldo, ma a Spa dove potevano puntare a vincere non ci sono riusciti. Conta anche come s’imposta l’assetto. Io ricordo che con la Renault andavamo forte nei long run, ma non nel giro di qualifica. Lavorando sul set up eravamo riusciti a bilanciarne i comportamenti. La F.1 è molto più complessa di quanto già non sembri: credetemi non è facile da capire per chi la vive dal di dentro, figuriamoci cosa è per chi è ormai fuori”. Durante i Gp ci fanno ascoltare i discorsi via radio fra il muretto dei box e i piloti. Quanto possono condizionare il rendimento di chi guida e deve anche agire sul volante computer per effettuare delle regolazioni in corsa? ”Io con l’ingegnere di pista volevo parlare il minimo indispensabile, perché ero concentrato sulla guida e avevo preteso che mi si distraesse il meno possibile. Ci limitavamo, quindi, alle comunicazioni necessarie. Altri piloti, invece, hanno approcci diversi: Jacques Villeneuve, per esempio, quando era in BMW aveva bisogno di essere spronato, altrimenti si “addormentava”. Insomma, aveva bisogno di essere stimolato”. E cosa si prova quando si sente dire: adesso cambia passo e dai tutto quello che hai? “Io mi innervosivo se mi dicevano di spingere di più mentre ero già al limite. Quello è il momento in cui si rischia di andare più piano. Se dopo una chiamata di quel tipo si cambia passo e si fa più forte, vuol dire che si stava… dormendo prima. Quest’anno la strategia ha il suo peso perché bisogna capire quando è il momento giusto di spremere le gomme”. Il sorpasso è un momento emozionante di un Gp… ”In F.1 i sorpassi sono difficili e negli ultimi anni ne abbiamo visti pochi. Almeno di quelli veri…”. Sei contrario al DRS? ”L’ala mobile la toglierei subito. Ci pensate, è come sei nei cento metri di atletica il primo dovesse correre con il vento in faccia e il secondo con il vento a favore che soffia nella schiena grazie ad un ventilatore. Che senso ha? È vero che al pubblico piace, ma non si vedono più i sorpassi a ruote bloccate: ormai tutti aspettano il momento in cui si deve spingere il bottone, e via! Non si azzarda un attacco prima del detection point perché si rischia di essere superati di nuovo sul dritto proprio grazie al DRS. E così si sarebbe di nuovo al punto di partenza. Questo sistema, quindi, condiziona anche il modo di correre oggi. A mio parere è un controsenso. Preferirei vedere qualche attacco in meno, ma con sorpassi veri. Che gusto c’è a vedere monoposto che si superano in rettilineo?”. A Romain Grosjean lo avresti dato un Gp di squalifica? ”Non so, non sta a me giudicare. Ormai non faccio più parte di quel mondo. Posso dire che Grosjean ha sprecato tante occasioni quest’anno: è un ragazzo che conosco bene, è molto intelligente. Mi sorprende che sia arrivato oltre le righe. Probabilmente subisce troppa pressione: uno o due… cazzate le abbiamo fatte tutti in carriera, ma Romain ha lasciato troppi punti pesanti per strada. E poi un conto è se parti quindicesimo e rischi tutto per tornare davanti e un altro conto è se sei nelle prime tre file e corri in un team importante com’è adesso la Lotus. Io avrei avuto un approccio diverso, più conservativo che permettesse di conquistare dei punti con regolarità”. La F.1 è un discorso chiuso dopo l’incidente, o…? ”Chiaro che io preferirei essere dall’altra parte, ma nella vita bisogna accontentarsi. Ho ancora troppi limiti per sedermi in una monoposto in pista. E non dico una F.1, ma più semplicemente una monoposto”. Sono difficoltà superabili nel tempo? ”Non lo so, ci vuole un po’ di fortuna e non dipende tutto da me. Può suonare male, ma la speranza resta l’ultima a morire. E crederci non costa niente. Io ci credo ancora ma restando con i piedi per terra. Non è che se non rientro in F.1 mi sento perso come persona”. Eppure si dice che ci sia qualcuno disposto ad aspettarti, magari per farti sviluppare il nuovo motore turbo che arriverà nel 2014... ”Non lo so, non lo so”. E sorride quasi colto in un attimo di difficoltà. ”Sinceramente questo è un momento un po’ particolare della mia vita: mi sto impegnando per far tornare a funzionare bene il braccio destro”. Ti sei dato dei tempi? ”In questi diciannove mesi ho capito che darsi delle tempistiche è inutile. Si impara a dare al tempo un valore diverso”. Con il dottor Ceccarelli perché c’è stata la rottura? ”Era arrivato il momento di separarci. Succede anche nei migliori matrimoni. Con Riccardo ho lavorato per anni: lui ha altri impegni ed io ho scelto altre strade. Punto e basta”. L’amicizia si è rotta? ”Non vado più tutti i giorni nella sua palestra e non lo vedo spesso. In questi casi l’amicizia non conta. Con Fernando sono amico, ma quando abbassavo la visiera del casco diventava solo un avversario ed ero pronto a lottare contro di lui per ottenere il miglior risultato. Non gli avrei mai dato una ruotata, ma mi sarei fatto rispettare anche da lui. Spero di averti spiegato il concetto…”. Lasciamo la F.1 e passiamo ai rally… ”Le persone che mi conoscono sanno che al 95 per cento dei casi faccio sempre cose che hanno un senso. Magari all’inizio non si capisce subito il perché. In questo caso ce ne sono più d’uno. Sono andato al San Martino di Castrozza per correre con una Subaru Impreza Wrc nella gara del TRA. Credo sia arrivato il momento in cui io debba distaccarmi dagli ultimi diciannove mesi, senza abbandonare quello che ho fatto in questo periodo. Correre nei rally può essere utile a migliorare il mio stato. Se voglio schierarmi in un campionato l’anno prossimo, non so se in pista o nei rally, devo riprendere l’attività. Considera che da quando ho guidato nuovamente una macchina in pista è già passato un anno. Non è che mi sono messo a girare due settimane fa. Negli ultimi diciannove mesi ho subito molti interventi chirurgici: chi conosce queste realtà sa che non è facile vivere normalmente. Ogni operazione mette tensione, agitazione perché sai che stai mettendo a dura prova il tuo fisico. Il mio era già debole. Ho sopportato più interventi di quelli che la gente possa immaginare”. Quanti sono stati? Tieni il conto? ”Tanti, penso che potrei fare la gara con i Gp che ci sono in una stagione di Formula 1. La strada che devo percorrere è ancora lunga e c’è tanto lavoro da fare. A questo punto per me è importante iniziare a incrociare la vita degli ultimi diciannove mesi con quella che ho condotto negli anni precedenti l’incidente. Insomma, voglio tornare a guidare…”. Nel recente test con la Fiesta WRC hai sconvolto gli uomini della Ford: sull’asfalto sei andato più forte di Latvala che è il pilota ufficiale. Ti hanno invitato a restare un giorno in più per sviluppare la macchina… ”Sì, è vero, ma se decidessi di praticare la disciplina dei rally avrei bisogno di due stagioni prima di esprimermi al top. Nelle speciali l’esperienza ha un peso molto maggiore rispetto alla pista. In circuito se fai due o tre test puoi scoprire se vai forte. Si possono staccare dei buoni tempi dopo 200 km, mentre nei rally ci sono molte variabili in più, a cominciare dai percorsi delle gare che non si conoscono. Per me, quindi, sarebbe molto più facile tornare a correre in pista, perché è quello che ho fatto per tanti anni. Sono molto più maturo come pilota da pista che da rally”. Perché allora disputare i rally adesso? ”Perché sono la mia passione, perché sono facili da gestire dal punto di vista logistico. Aggiungo che la guida è meno prevedibile rispetto a quella in pista che è più ripetitiva, per cui è anche più utile alla guarigione del mio braccio. E non nasconde che anche più facile dal punto di fisico, perché si è meno impegnati. A San Martino abbiamo effettuato lo shake down su un piazzale, fra le pile di gomma: per me è stato un esercizio eccellente. Serve reattività…”. Vero, ma sei uscito dal tracciato e hai commesso un errore anche nella prova spettacolo, prima di sbattere in gara… ”Avevo preso una gomma con la ruota posteriore nell’unico punto in cui non c’era più il piazzale, ma un fosso e mi ci sono infilato. Ho fatto un errore da principiante! Ho dovuto cambiare solo un paraurti. Abbiamo fatto più danni a tirare fuori la Subaru Impreza WRC che nell’uscita di strada. Niente di grave. Nella prova spettacolo stavo andando troppo forte e ho fatto uno sbaglio nel lento, per cui mi sono piantato”. Nell’intertempo avevi un vantaggio di 5 secondi su tutti gli altri su un percorso di 1,9 km! Il fatto che la Ford ti abbia chiamato ai suoi test ha alzato l’asticella delle tue aspettative? ”Chiariamo questo aspetto: io con la Ford avevo raggiunto un pre-accordo nel 2011 secondo il quale mi sarei impegnato a dargli una mano per sviluppare la macchina sull’asfalto. E la speranza era di disputare qualche gara importante con loro. Poi è successo quello che è successo e si è fermato tutto. Mi hanno richiamato in maggio: ho un amico che lavora nel team che ha mantenuto aperti i contatti e mi hanno invitato a salire sulla Fiesta WRC. All’inizio mi era dichiarato contrario, perché di solito le cose mi piace farle al 100%”. E poi cosa è successo? ”Devo ringraziare l’A-Style: i responsabili del team mi hanno messo a disposizione la loro Fiesta per un test intensivo. Così sono potuto andare in Francia per guidare la vettura della Casa: ho percorso tanti chilometri e devo ammettere che guidare una WRC in pista non è stato particolarmente divertente, ma è stato un lavoro interessante: sono rimasto sorpreso della mia resistenza fisica”. Per i rally non è un anno positivo: cosa si deve fare per migliorare la sicurezza dopo le ripetute tragedie? ”La medicina non esiste. Troppe persone si esprimono liberamente senza sapere di quello che parlano. I piloti non avranno la soluzione definitiva, ma forse sono quelli che hanno le idee più chiare. Ho provato a correre con la WRC che è sicuramente più veloce delle Super2000 e ho avuto la sensazione che sia dieci volte più sicura. Con il motore turbo e tanta coppia è possibile tirarsi fuori dalle situazioni più critiche”. La potenza, quindi, è un falso problema? ”Non c’è dubbio. Con una macchina meno potente il pilota è costretto a ritardare la frenata e a mantenere una velocità di percorrenza della curva molto alta. Se con una Subaru entro in curva 3 km/h più piano, poi apro il turbo e perdo neanche un decimo. Se faccio la stessa manovra con un Super2000 il motore mi muore perché non ho la coppia e prima di arrivare al tornantino successivo ci ho lasciato un secondo. La questione è tutta qui: anche chi corre solo per divertirsi cerca di ottenere il suo massimo e cerca un limite che è più critico”. Sei ostico rispetto alle Super2000? ”Sono macchine bellissime che vanno fortissimo in curva, più della mia Subaru WRC del 2007. Le Super2000 esprimono una concezione estrema nelle sospensioni, tanto che sembrano molto più delle vetture da pista. Sono macchine costruite intorno alle gomme che utilizzano. Sono pensate per sfruttare il 100% del grip a disposizione. Quando si arriva a questi estremi le macchine diventano imprevedibili al limite. Se partono non si controllano più o, comunque, diventano molto difficili anche per chi le conosce molto bene”. Limiteresti l’uso delle Super2000 solo a certe gare? ”Io paragono una Super2000 da rally a una Gp2 in pista. Non capisco perché se tu Franco decidessi di correre in Gp2 l’ultima gara ad Abu Dhabi ti riderebbero tutti in faccia. Non c’è un team che ti prenderebbe: lasciamo da parte l’aspetto finanziario, ma ci sarebbero dei vincoli di licenza. E non solo. Prima di debuttare, in ogni caso, dovresti effettuare dei test. Però se tu dovessi decidere di disputare un rally di zona con una Super2000 non esisterebbero grandi vincoli. Basta avere cinque partecipazioni ai rally. E potresti gareggiare senza aver fatto un metro di test con la macchina che vorresti noleggiare. Gli incidenti che sono successi a Breen al Targa Florio o a me non dipendevano dalla capacità del pilota, ma dal tipo di mezzo. E allora come si può gareggiare con una vettura così esasperata senza aver effettuato un test? È una follia! Parlo con cognizione di causa: io con la Skoda Fabia aveva fatto diverse prove, ma per una sensazione strana, prima di andare ad Andora, non mi sentivo pronto! La Super2000 è una macchina impegnativa, divertente ma “bastarda”. Non ha motore e quindi bisogna sfruttare assetto e freni. Sempre al limite…”. Qual è la tua ricetta? ”Nei rally di zona vieterei le Super2000 dal 2014. Si dovrebbe gareggiare con le Gruppo N. Macchine potenti, sicure, che costano un terzo. A parità di budget si potrebbero disputare più corse e qualche test. Nei rally si tende a spendere i soldi che si mettono insieme solo per correre e troppo spesso si tralasciano i collaudi. Nei test, invece, si impara a conoscere la macchina e le sue reazioni. Chi ha l’ambizione di fare bella figura nella gara di casa è costretto a noleggiare una S2000. Vanno cambiate le norme: se corresse con una Gruppo N potrebbe dare spettacolo al tornante con un bel traversone davanti agli amici e alla famiglia. Con la S2000, invece, è un attimo andare sotto coppia e piantarsi, facendo una pessima figura. Le mie sono riflessioni semplici: con una Gruppo N si andrebbe più piano in curva e ne guadagnerebbe la sicurezza. Siccome queste vetture pesano di più, bisognerebbe frenare prima. Qualcuno dirà che la mia è un’idea pazza, ma il Gruppo N è la categoria di approccio migliore”. Ci sono poche vetture omologate: Mitsubishi o Subaru… ”E’ vero, ma sono sicuro che se si aprisse il mercato ci sarebbero altre Case interessate a sviluppare i loro modelli con quel regolamento. Parlo da appassionato, senza pensare agli aspetti politici. Non è mio compito”. C’è chi sostiene che ci siano troppe gare a calendario… ”E’ vero: in Toscana potrei correre quasi ogni settimana vicino a casa. Il calendario italiano è il più fitto che c’è in Europa: ci saranno 150 gare iscritte. In altri paesi non si arriva ad un terzo. Qui ci sono tanti equipaggi che gareggiano: nel 2010 quando andavo a guardare i siti dei rally perché mi stavo incuriosendo, mi stupivo di quante vetture ci fossero nelle liste di partenza. In un rally solo avevo contato 50 vetture di gruppo R3. La crisi economica ha tagliato le partecipazioni, ma non le gare. Gli organizzatori non hanno più le risorse a cui si erano abituati e sono costretti a tagliare i costi. Anche quelli della sicurezza…”. Grazie Robert per la chiacchierata, la discussione è aperta…

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