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Christian Fittipaldi fra Superstars, ricordi F.1 e paure...

Intervista a cuore aperto con il brasiliano che ammette di aver avuto timore di correre sugli ovali, ma mai nei Gp

Ha 41 anni ma non li dimostra. Le corse sono il sale della sua vita: lo zio Emerson ha vinto due titoli mondiali di F.1, prima di diventare campione anche in Indycar. Il padre Wilson ha corso nei Gp con la Copersucar, il team tutto brasiliano che aveva lanciato nel 1975. Era inevitabile che anche Christian Fittipaldi venisse eroso dalla passione per le quattro ruote. La rivediamo dopo quasi 20 anni con la stessa voglia di quando, campione sudamericano di F.3 nel 1990, decise di venire a correre in Europa: vinse subito il campionato di F.3000 del 1991, meritandosi il passaggio in F.1. Ha disputato 40 Gp ma sempre con Minardi e Footwork poco competitive. In America aveva costruito una seconda fase della carriera in Indycar: è stato ottimo secondo alla 500 Miglia di Indianapolis del 1995. Poi con il team Newman-Haas ha conquistato ancora due vittorie nelle monoposto, preferendo poi dedicarsi alla Nascar dal 2002 al 2005 e alle gare V8 brasiliani. Adesso ha deciso di ripresentarsi in Europa, convinto da Gianni Morbidelli, a tentare l'avventura nella Superstars, un campionato emergente che cerca notorietà all'estero. E non si è fetto pregare due volte dal patron Maurizio Flammini che l'ha presentato ieri a Milano fra i top driver della serie 2012. Che campionati ti aspetti con una vettura da 500 cavalli? “La Superstars fra un paio di anni può diventare una categoria molto importante: sta crescendo bene e penso possa essere un interessante punto di riferimento fra le corse a ruote coperte. Se devo essere sincero devo dire che che nel mondo delle corse turismo ci sono diverse serie ben fatte e competitive, ma i costi si stanno rivelando esorbitanti rispetto alla crisi economica che è in atto. La Superstars, invece, ha la caratteristica di proporre una vettura molto prestazionale con budget che sono ancora accessibili ai piloti. E l'altro aspetto azzeccato è il far correre vetture che derivano dalla serie, per cui c'è la riconoscibilità di marchio da parte del grande pubblico”. Non hai mai guidato una Maserati da corsa? “No, e l'idea mi piace molto perché il nome Maserati evoca corse e vittorie importanti. Mi viente in mente Fangio campione del mondo di Formula 1. Sarà mio compito riuscire a mantenere alto il valore della Casa del tridente visto che la vettura ha vinto il titolo l'anno scorso”. La Casa ti ha cercato quando si è saputo che avrest fatto delle gare con la Quattroporte in Superstars? “Non ho avuto contatti, ma si sa bene come vanno queste cose e non è da escludere che più avanti ci sia un contatto con la Maserati. Per ora sono stato coinvolto dai responsabili Superstars, ma l'idea non mi dispiace affatto...”. Segui ancora la Formula 1? “Certo, guardo tutti i Gp anche perché li commento per una radio brasiliana e quindi voglio essere ben informato”. Che impressione hai della stagione 2012? “Secondo me i valori non sono cambiati molto. L'unica cosa di cui sono sicuro è che la McLaren è più vicina alla Red Bull Racing rispetto allo scorso anno. La squadra di Woking può sfidare il team campione del mondo, anche se la squadra di Milton Keynes mantiene la struttura più competitiva. Non credo alla crisi della Ferrari: la Rossa è solo in grave ritardo di preparazione con un nuovo progetto, ma non è così male come è parsa finora. Vedrete che saprà tornare al vertice dopo i primi tre Gp e sarò in grado di rientrare nella lotta per il mondiale, perché è prevedibile una suddivisione dei punti nelle prime gare”. Massa è un tuo connazionale: qual è il tuo rapporto con il brasiliano? E credi che possa riscattare l'annata 2011 deludente? “Con Felipe ho un ottimo rapporto personale. Questo inverno sono andato alla gara di karting che ha organizzato a Floriopolis. Detto questo, la F.1 è una categoria che non perdona, perché contano solo i risultati. Se non si ottiene il massimo si viene messi ai margini del Circus. Questo discorso non vale solo per Massa, ma per tutti i piloti. Lo stesso Alonso deve confermare il suo potenziale di vincente anno dopo anno, altrimenti non riuscirà più a trovare un contratto ben remunerato e di lunga durata. Il mondo dei Gp è questo: duro quanto affascinante”. Nel Circus si è discusso molto di altri due piloti brasiliani: Bruno Senna ha preso il posto di Rubens Barrichello alla Williams. Come è stato vissuto il passaggio dal pilota più esperto a un quasi debuttante? “Rubens ha vissuto una carriera fantastica in F.1 ed era inevitabile che prima o poi si chiuderessero gli spazi per lui nel Circus. Ha scelto di continuare la sua carriera in un altro campionato come l'Indycar e ha lasciato il posto Williams a Bruno. Lasciamo da parte qualsiasi confronto con Ayrton perché sebbene siano della stessa famiglia, non hanno quasi niente in comune. La carriera dello zio è stata segnata da successi molto importanti, mentre Bruno comincia a muovere i primi passi in F.1 dove è arrivato piuttosto tardi. A mio parere se riuscirà a ottenere anche solo la metà dei risultati dello zio, allora vorrà dire che avrà trovato la sua strada nei Gp. Vedremo...”. E ride di gusto... È coraggiosa la scelta di Barrichello di andare a scoprire gli ovali a 40 anni? “Ho parlato con Rubens due settimane prima dell'ufficializzazione del programma in Indycar. Quando mi ha detto che farà tutto il campionato sono rimasto molto sorpreso. Non avrà alcun problema a fare molto bene nei circuiti stradali e cittadini, mentre temo per gli ovali. Non ti nasconde che uno dei giorni giorni più felici della mia vita è stato quando ho deciso di non correre più sugli super-speedway con una monoposto. L'idea di andarci con una Nascar non mi turba affatto, mentre il pensiero di tornarci con una Formula mi turberebbe un poco. Perché sull'ovale grande si gira a velocità molto elevate e finché tutto va bene non ci sono patemi, ma basta un piccolo guaio perché diventi un subito un grosso problema. È per questo che sono stupito della scelta di Barrichello, tanto più che si va a confrontare con un gruppo di piloti che vanno molto forte sugli ovali e vantano un grosso bagaglio di esperienza in questo tipo di gare”. Lo sconsigli di proseguire questa avventura? “Girare da solo non gli sarà difficile, ma la situazione diventerà complicata quando dovrà correre a stretto contatto delle ruote degli altri nel gruppone. Non ci si abitua in fretta e non è facile mettersi a posto una monoposto vincente per i catini, perché la messa a punto richiede scelte inusuali che si acquisiscono solo con il tempo e con l'esperienza”. Sarà aiutato dall'amico e compagno di squadra Tony Kanaan... “Sicuramente, ma in una 500 Miglia bisogna stare nel giro dei primi cercando all'inzio di conservare la macchina per i momenti decisivi della corsa: è in quei 15-20 giri che bisogna saper dare tutto, prendendo dei rischi e sapendo cambiare passo all'improvviso. Non è facile ed è anche molto rischioso. È un tipo di competizione molto diversa da quella a cui è sempre stato abituato...”. Tu hai corso sia in F.1 che in Indycar, vivendo i due mondi. La sensazione è che nei Gp l'attezione dei piloti sia orientata al conseguimento del massimo risultato tecnico, mentre nella griglia di una 500 Miglia di Indianapolis ci sia ancora una componente di paura in chi si schiera al via. È così? “La tua domanda è molto interessante. Ho corso in Indycar fino al 2002 e non ti nascondo che quando uscivo di casa per andare a disputare una gara su uno speedway tipo Michigan o Fontana, al giovedì quando chiudevo la porta mi veniva il pensiero se ci sarei tornato a quella dimora. Era solo un attimo fuggente, ma era una cosa ricorrente nella mia testa che non mi ha mai attraversato la mente quando correvo in F.1. Tutt'al più pensavo che potesse succedere un incidente e mi potessi rompere un braccio o una gamba. Mai che potesse accadere qualcosa di letale. Sugli ovali, invece, quella percezione era più reale. Mi hai fatto riaffiorare delle sensazioni che avevo cancellato dalla memoria. Ti assicuro che dal giorno in cui ho deciso che non sarei più andato su un super-speedway con una monoposto ho dormito in maniera diversa”. Eppure a Monza sei stato protagonista di un looping ad alta velocità proprio sul rettilineo d'arrivo per un contatto con il tuo compagno di squadra davanti alla bandiera a scacchi del Gp d'Italia del 1993... “Quel volo me lo ricordo eccome! Mi è andata bene che la mia Minardi dopo una giravolta di 360 gradi sia atterrata sulla pista sulle quattro ruote, altrimenti non so se sarei qui a raccontarla quella storia!”. Ma cosa è successo con Pierluigi Martini prima dell'arrivo? “Bisognerebbe chiederlo a Pierluigi, fatto sta che sono decollato sulle sue ruote posteriori mentre eravamo lanciati per la volata finale a oltre 300 km/h che valeva il 7. posto nella classifica del Gp d'Italia. Era un giornata bellissima per la squadra e in un istante ho visto il cielo azzuro mentre ero in aria: ho avuto appena il tempo di pensare che se non atterravo sulle gomme sarebbe finita male, che ho sentito una gran botta alla schiena. Mi è andata bene: ho anche concluso la corsa classificato all'ottavo posto! Ma preferisco parlare del futuro, delle gare con le vetture da turismo come le Nascar e le Superstars. Ci vedremo in pista!”.

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