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Si è spento Mannucci, il Maestro delle note

Sandro Munari ricorda con un groppo alla gola il navigatore con cui ha diviso tanti successi nei rally

La voce è rotta. Ora gli manca una parte di lui. Il Maestro se n'è andato in punta di piedi, senza protagonismo. Era abituato a stare in secondo piano, lontano dai riflettori. Mario Mannucci si è spento a 79 anni sabato scorso dopo una lunga malattia a Monfalcone. Sandro Munari sente un grande vuoto: “Avrei voluto condividere con Mario i quaranta anni dal successo con la Lancia Fulvia HF al Rally di Montecarlo del 1972 – racconta il Drago – e invece se n'è andato. Sono rimasto senza parole. Ora mi restano solo i ricordi. Tanti bei ricordi!”. Mario Mannucci è stato “il navigatore”. Nell'ambiente lo chiamavano il “Maestro” perché sapeva dispensare buone parole a tutti, distribuendo consigli disinteressati. Miki Biasion, due volte campione del mondo rally con la Lancia, è molto preciso al proposito: “Mannucci è il maestro perché ha trasformato il ruolo del navigatore, affidato di solito ad un amico che condivideva le sorti del pilota, in una figura professionale. È stato un capostipite. Il primo co-pilota che ha interpretato il ruolo da professionista, tenendo a battesimo dei giovani come Siviero che hanno imparato abbeverandosi alla sua conoscenza. L'Italia ha avuto una generazione di navigatori eccellenti grazie a Mannucci”. Mario è nato pilota: milanese del 1932, segno dei gemelli, aveva iniziato l'attività nelle gare di regolarità avendo al fianco la moglie Ariella Pangaro come cronometrista sulle vetture iscritte dal Jolly Club. Nel 1968 con una Fulvia aveva partecipato alla prima edizione del Rally dell'Eba e si è classificato decimo con Bruno Scabini come coequipier. Cesare Fiorio, ds della Squadra Corse HF-Lancia, lo nota e l’anno successivo gli assegna il ruolo di navigatore di Sergio Barbasio per partecipare e vincere con la Fulvia HF 1.3 ufficiale proprio l'Elba. Mario cambia pelle e ruolo, interpretando in modo attivo il ruolo del co-pilota. Fiorio decide di affiancarlo a Sandro Munari. Il veneto, già due volte campione italiano rally, era alla ricerca di un navigatore per ricreare l’intesa che aveva raggiunto con Luciano Lombardini, morto nel percorso preliminare del Montecarlo del 1968 nell’incidente in cui anche Sandro si era ferito seriamente. “Sento un vuoto dentro, mi manca un amico – racconta Munari – insieme abbiamo vinto tanto con la Fulvia e la Stratos. Ci siamo tolti grandi soddisfazioni: ora mi rimangono i ricordi di un'esperienza di vita lunga e importante. Non bisogna dimenticare che all'epoca si passavano giorni e intere notti in macchina e si condivideva tutto. Sapeva andare oltre qualsiasi problema. Aveva sempre una parola di conforto e aveva la capacità di spegnere i miei scatti d'ira. Insomma oltre ad essere un eccellente co-pilota, riusciva a rendere costruttivi tutti gli scambi di opinione che potevamo avere in abitacolo. Era una persona squisita capace di entrare in piena sintonia con me”. È stato determinante in certe situazioni? “Un navigatore non può far vincere una gara. Tutt'al più può farla perdere: partendo da questo assunto – prosegue Munari – si può capire quanto importante sia stato il ruolo di Mario. Sapeva curare tutti i particolari della corsa, aveva sempre una visione globale della situazione e del rally dai problemi logistici e organizzativi a quelli sportivi e regolamentari. Era molto abile nella lettura delle note e con il timbro della sua voce sapeva dettarmi il giusto ritmo per dare il meglio”. Quindi il Maestro aveva un peso durante la speciale? “Avevamo trovato una perfetta simbiosi – prosegue Munari – a mio parere la capacità di un navigatore non si misura nella capacità di sapere prendere tutti i bivi giusti in trasferimento, perché tanto c'è sempre il tempo per ritornare sul giusto percorso, quanto in prova quando il pilota cerca di dare il massimo. È la sua voce che ti scandisce il ritmo e dalle sue parole, dal tono e dalle pause che già capisci se stai andando forte. Una sensazione che quasi sempre trovava il conforto del cronometro”. E le vittorie per Sandro e Mario erano arrivate a grappolo. Come dimenticare il Montecarlo del 1972 con il numero 14 o il primo successo mondiale della Stratos al Rally di Sanremo del 1974. La coppia era la regina dei rally iridati, uno spauracchio per tutti, ma Fiorio che aveva lo sguardo lungo aveva voluto Mannucci in un ruolo dirigenziale, proprio per dare una maggiore impronta organizzativa alla squadra corse della Lancia dopo che Daniele Audetto era andato alla Ferrari per diventare il ds del Cavallino rampante. Ma dopo quella parentesi era tornato a fare quello che più gli piaceva: ancora con Munari ma questa volta con la Fiat 131 Abarth e poi dopo il ritiro del Drago con Adartico Vudafieri e Andrea Zanussi. Aveva tenuto a “battesimo” Attilio Bettega, autore anche di un miglior tempo al Turini con una Ritmo Gruppo 2 nel Monte del 1980. Fino al 2002 Mario è stato apprezzato istruttore della Scuola Federale della Csai e ha tracciato il radar di molte gare importanti. Poi l'uscita di scena, in punta di piedi. Un sipario che è calato nel silenzio. Ciao Maestro, hai insegnato un mestiere a generazioni di co-piloti italiani. E molti ti saranno grati proprio di quei consigli che hanno formato dei professionisti apprezzati nel mondo dei rally. Un'eredità che continua a fruttare esempi molto positivi...

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