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Biasion: "La CSAI non aiuta i giovani ad emergere"

Al Motor Show il due volte iridato ha parlato anche della sua prossima avventura alla Dakar

Biasion:
Miki Biasion è stato tra i piloti che oggi hanno animato la Mobil 1 Arena del Motor Show con lo straordinario spettacolo offerto dal Bettega Legend. Il due volte campione del mondo di rally però è anche salito sul palco allestito dalla Gazzetta dello Sport al padiglione 36, dove ha risposto alle domande del pubblico presente. La conferenza è stata pochi minuti dopo le sue prime tornate sull'Area 48. Dunque, non poteva cominciare differentemente che con le sue prime impressioni: "E' sempre bello poter tornare al Motor Show, poi lo è ancora di più poterlo fare al volante della Lancia Delta con cui ho vinto i miei Mondiali e facendo quindi rivivere l'emozione delle sfide degli anni '80 a tutto il pubblico presente. Io ho un po' di ruggine addosso, ma la Delta la conosco bene e dopo pochi giri ha iniziato subito a ridarmi le belle sensazioni di un tempo. Fisicamente si fa un po' fatica, ma fortunatamente facciamo pochi giri...Scherzi a parte, sono abbastanza preparato perchè un mese fa ho corso il Rally del Marocco con il camion con cui andrò a fare la Dakar". Miki poi ha iniziato a raccontare la sua prossima avventura: la Dakar 2012 con il camion dell'Iveco: "Quest'anno parteciperò alla Dakar con un camion Iveco e per me sarà la nona esperienza in questa gara, quindi non è un esordio. E' una gara che amo fare, anche ora che si è trasferita in Sudamerica. Avrò un camion molto competitivo, con oltre 1.000 cavalli di potenza, quindi sarà una grande avventura e credo che ci siano le basi per fare un grande risultato. E' la gara più faticosa al mondo, con 15.000 chilometri di fuoristrada, con un camion di circa 90 quintali, quindi bisogna prepararsi al meglio dal punto di vista fisico". Anche se può non sembrare, Biasion ha garantito che il suo Iveco è un mezzo piuttosto divertente: "I camion fino a qualche anno fa erano dei mezzi derivati dalla serie. Ora, come in tutti gli sport motoristici, anche alla Dakar avremo dei camion che sono praticamente dei prototipi. Avremo un motore centrale con un potenza di 1.000 cavalli e una coppia esorbitante. A livello di guida è molto simile ad un fuoristrada e devo dire che in Marocco i nostri tempi si sono avvicinati molto a quelli delle macchine. Non a caso, sono riuscito ad arrivare quinto assoluto. Sicuramente il camion è un mezzo un po' più lento nelle reazioni e non è veloce nei cambi di direzione perchè c'è sempre una massa molto pesante da spostare, ma nei tratti con più buche forse è addirittura più competitivo delle auto". Miki ha poi spiegato come è composto un tipico equipaggio: "In camion c'è il pilota, poi c'è il navigatore che ha un'importanza ancora più fondamentale che nei rally: ci sono dei punti in cui è obbligatorio transitare, quindi sta a lui disegnare il percorso migliore per raggiungerli. Poi c'è un meccanico che invece controlla che tutto sia in ordine, a partire dalle pressioni delle gomme che sono fondamentali in gare come queste. Anche la preparazione fisica è un aspetto molto importante per una gara come la Dakar: "Indubbiamente, soprattutto con un camion, lo sforzo fisico è molto grande perchè la cabina di guida è proprio sopra all'asse anteriore, quindi tutte le buche corrispondono ad un grosso colpo verticale. Per questo bisogna lavorare molto sugli addominali e sui muscoli dorsali. Poi logicamente anche le braccia vanno rinforzate, anche se il servosterzo è molto efficace. Sei sempre con il cambio in mano perchè il camion ha ben 16 marce, quindi bisogna rinforzare particolarmente la spalla destra. La cosa più importante comunque è avere una buona preparazione generale per sopperire alla stanchezza, perchè quando si è troppo stanchi si è meno lucidi e c'è un rischio maggiore di commettere degli errori". Anche per quanto riguarda la sicurezza dei piloti, la situazione è molto migliorata: "A livello di sicurezza sono stati fatti dei passi da giganti. Siamo tutti controllati con il satellite, inoltre ogni tot numero di macchine c'è un elicottero in volo, un'ambulanza e un'equipe medica. Da questo punto di vista ci sono stati dei passi in avanti enormi. Correre, e farlo nel deserto, in ogni caso è sempre pericoloso, anche se uno cerca di non pensarci e fare la sua gara". Superato l'argomento Dakar, si è entrati in temi più rallistici, con un confronto tra i piloti di Formula 1 e quelli del Mondiale Rally: "Sia i piloti di rally che quelli di Formula 1 sono dei fuoriclasse, perchè altrimenti non si arriva a correre a certi livelli. Sicuramente in Formula 1 il pilota deve essere molto più perfezionista, adattando molto la vettura e spiegandone i difetti ai tecnici per poterla migliorare. Nei rally il pilota improvvisa molto di più, perchè non percorri sempre lo stesso giro, ma ogni curva è sempre nuova. Figurarsi poi in una gara come la Dakar. Il pilota di rally deve adattarsi molto di più alle varie situazioni, mentre in pista uno sa già a cosa va incontro. Solitamente però si adattano più velocemente i rallisti alla pista che non viceversa e Raikkonen probabilmente ne è un esempio lampante. Io ovviamente, avendo fatto parte della categoria, faccio il tifo per i rallisti". Inevitabile quindi una battuta sulle difficoltà evidenziate quest'anno da Kimi Raikkonen: "Soprattutto oggi, che nei rally si può provare molto meno rispetto al passato, un rallista deve essere molto abituato a guidare con le note. Devi veramente prendere quello che ti dice il navigatore come se fosse un Vangelo e fidarti di lui. Per uno che è abituato a fare centinaia di giri su un circuito, non è una cosa così automatica e credo che questa sia stata la sua difficoltà principale. Io infatti credo che se mettiamo Raikkonen su un circuito sterrato, dopo pochi giri anche lui riuscirà ad andare forte quanto gli altri colleghi rallisti". Così come inevitabile è una tiratina d'orecchio alla Federazione, che secondo lui non si impegna abbastanza per promuovere i piloti di casa nostra: "In Italia di piloti che vanno forte ce ne sono moltissimi. Il problema alla base non credo che sia uno scarso interesse, ma una gestione sbagliata dei regolamenti e della politica sportiva da parte della federazione, che non aiuta i giovani ad emergere. Poi manca anche un po' il sogno nel cassetto: fino a quando c'era un costruttore italiano nel Mondiale come la Fiat o la Lancia, un ragazzo poteva anche pensare di investire dei soldi per diventare un pilota professionista per un team ufficiale. Oggi però questa possibilità non c'è più perchè l'unica casa impegnata in maniera veramente ufficiale è la Citroen ed ha già i suoi piloti, così come la Ford. Questo porta anche i ragazzi a pensarci un po' di più prima di investire molti soldi". Senza voler peccare di lesa maestà nei confronti di Sebastien Loeb, Miki poi si è detto piuttosto convinto del fatto che ai suoi tempi fosse molto più dura vincere un Mondiale: "Ci sono stati dei periodi nei quali il livello dei piloti è stato altissimo. Oggi Loeb porta a casa i Mondiali vincendo anche 15 gare su 16, ma ai miei tempi bastavano anche un paio di successi perchè la torta veniva spartita molto di più. C'erano tanti piloti che cercavano di vincere una gara, inoltre c'erano gli specialisti delle singole gare che venivano ingaggiati dalle case ufficiali. Vincere, quindi, non era assolutamente facile. Se devo fare dei nomi, posso dire Toivonen, che purtroppo ha avuto un incidente mortale in Corsica quando era all'apice, ma la mia spina nel fianco era senza dubbio Juha Kankkunen. Ma poi devo citare anche Markku Alen: eravamo sempre noi che ci giocavamo i Mondiali". Infine, una battuta sulle superstizioni: "Non sono mai stato superstizioso, ho solo una mia routine. Ma non faccio gli scongiuri e non mi tengo in tasca dei portafortuna. Io credo che è una cosa che forse mi ha aiutato perchè non mi sono mai fatto condizionare dagli eventi. Se mi attraversa la strada un gatto nero, è lui che deve ritenersi fortunato se non lo metto sotto".

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