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Henry Morrogh: 80 anni e non sentirli!

Storie, passioni e filosofia in un'intervista al maestro di tanti campioni della Formula 1

Inarrestabile. Guardi Henry Morrogh aggirarsi per il paddock di Vallelunga per la festa dei suoi 80 anni e non trovi un aggettivo migliore per questo fresco ottuagenario irlandese di nascita ed italiano di adozione che ancora si diverte a girare in pista con le sue monoposto, soprattutto sul bagnato "ma solo con le Formula Ford 1.600, che mi divertono tanto perché posso farci i controsterzi, mentre le 1.800 e le F3 le lascio ai giovani". Inarrestabile Henry Morrogh e non solo in pista, perché quando parla il maestro che ha insegnato a correre a tanti campioni della Formula 1, è un fiume in piena di storie, di rivelazioni, di saggezza che solo uno come lui, classe 1931 e oltre 60 anni nelle corse, può raccontarti. E che continua dopo quasi mezzo secolo a forgiare piloti nella sua Henry Morrogh Racing Drivers School. Inarrestabile, appunto. Henry, come si arriva ad 80 anni in forma come te? "Questione di... culo! (e parte una sonora risata, ndr). Scusa, ma è così. Io ho ormai perso tanti amici, sono tornato in Irlanda qualche anno fa a cercare quelli che correvano in moto con me negli anni '50 e ne ho trovato ancora vivo solo uno. Posso solo ringraziare quelli lassù se sono qui a 80 anni in salute e in mezzo a tanti amici che sono venuti a farmi gli auguri da tutta Italia!". Ma l'automobile ti ha allungato la vita? "Credo che è la passione per quello che fai che allunga la vita, non importa quale. Il nuoto, le scalate, la bicicletta, la musica, qualsiasi cosa, ma almeno una passione nella vita bisogna averla. Quando incontro qualche giovane che mi dice che non ha nessuna passione provo una grande tristezza. L'importante è non vivere una vita... moscia!". Ma tu, oltre alle corse, hai passioni "segrete"? "Hai voglia! Quella per volare soprattutto. Ho volato con l'aliante e con l'elicottero. Ecco, con l'elicottero sono arrivato a 27 ore di volo. Mi affascina perché è una brutta bestia da pilotare. In volo è facile come l'aereo, ma tenerlo in 'hovering' con raffiche di vento laterale, ti manda in bestia! Mi faceva arrabbiare il mio istruttore, perché lui ci riusciva e io no! Però bisogna anche accettare qualche arrabbiatura se stai facendo una cosa che è davvero la tua passione". Bruni, Caffi, Cheever, De Angelis, De Cesaris, i fratelli Fabi, Ghinzani, Giacomelli, Larini, Nannini, Pirro e il campione del mondo Jacques Villeneuve, tanto per citarne alcuni. Insomma, per arrivare in Formula 1 bisogna rivolgersi a te? "Mah, parliamoci chiaro, noi addestriamo i ragazzi da 40 anni, ma più che rivolgersi a me bisogna poi avere la fortuna di trovare gli sponsor che ti portano fino lassù. L'elemento fortuna è sottovalutato, tanti amici più bravi di me non sono riusciti a fare quello che ho fatto io. Ho fatto sacrifici, ma sono diventato pilota ufficiale Norton e poi Renault, ho fatto la 24 Ore di Le Mans che era un mio sogno quando avevo 15 anni e i miei amici mi dicevano 'dove trovi di soldi?!' e con la fortuna ho guadagnato una barca di soldi, divertendomi. La fortuna o ti manca o ce l'hai. Io l'ho avuta". Fra i piloti più famosi a cui hai insegnato, di chi hai il ricordo migliore? "Il più bravo di tutti era Nicola Larini. Alla sua prima gara, credo fosse Imola, partì bene sotto la pioggia ma correva contro avversari con molta più esperienza. Ad un certo punto è stato raggiunto e, sai, quando un pilota vede ingrandire l'avversario nel retrovisore le occasioni di fare una 'cappellata' crescono. Mi sono detto, chissà se resiste. Ha resistito e sono stati gli altri invece a fare le cappellate. Quel giorno ha vinto e ho pensato: questo è uno che farà strada". E invece ti sei mai sbagliato? Ti sei mai detto "questo qui non farà mai carriera" e poi è successo il contrario? "Assolutamente sì. Elio De Angelis era uno di questi. Io non avrei scommesso una lira su De Angelis e invece ha dimostrato di essere uno dei miei migliori allievi in assoluto! Vedi, non si può mai sapere, perché ogni tanto il pilota tiene come nascosta la sua abilità e la tira fuori in seguito. Noi possiamo giudicare un pilota per quello che fa oggi. Quello che diventerà domani è tutto da vedere". Sei stato un giramondo, ma in Italia hai aperto le tue scuole a Vallelunga, poi a Magione e oggi a Battipaglia. Perché a un irlandese piace il sud? "Adoro l'Italia perché noi irlandesi abbiamo tanto in comune con voi italiani: siamo chiaccheroni, ficcanaso, siamo molto diversi dagli inglesi, siamo come voi. Prima di arrivare nel vostro paese avevo vissuto in Inghilterra, in Francia, un po' in Belgio, in Olanda e poi sono andato in America. Quando con mia moglie decidemmo di tornare in Europa, avevamo scelto il sud d'Europa, ma non c'erano molti circuiti. Ce n'era qualcuno in Spagna, che però era sotto il regime di Franco. L'unico paese a sud che aveva una lunga tradizione di gare era l'Italia. Chiesi informazioni allora a Pascal Ickx, il fratello di Jacky, e lui mi fissò un incontro con il direttore di Autosprint Marcello Sabbatini il lunedì dopo il Gran Premio d'Italia del 1967. Andai a trovarlo e gli spiegai che volevo fondare una scuola come avevo fatto altrove. Mi disse che era una splendida idea e che potevo rivolgermi a Vallelunga. Riuscimmo, con difficoltà ma ci riuscimmo, a trovare un accordo con l'ACI e aprii la mia prima scuola italiana nell'aprile del 1968". Nella tua scuola c'è anche una monoposto per piloti disabili. Anche i portatori di handicap possono guidare in pista? "Tutto partì tanti anni fa, quando facevamo la scuola estiva a Monza con le Formula Italia. Venne un ragazzo che aveva difficoltà a camminare perché era nato con una disabilità. Camminava, però salì a bordo e non riusciva a pigiare la frizione. Mi disse: 'Henry, vado dal mio fisioterapista e mi alleno tutti i giorni per un anno se tu mi prometti di tornare qui l'anno prossimo'. Gli risposi: 'Non solo te lo prometto, ma vedrò di fare alleggerire il comando con una pompa leggermente più piccola'. Io montai la pompa, ui si allenò e l'anno dopo riuscì a pilotare finalmente quella monoposto. Dovevi vedere il suo sorriso, fu fantastico. Da quel giorno mi sono convinto che dovevamo organizzare corsi anche per i portatori di handicap. L'idea nacque così e continuiamo ancora oggi".

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